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mondo granata
Questa storia appartiene ad un'epoca in cui le grosse radio di legno trasmettevano canzonette spensierate e dalle botteghe di barbiere si sentiva in strada l'inconfondibile odore dell'acqua di colonia. Un' epoca in cui, calcisticamente parlando, i portieri erano visti come i parenti più sfortunati dei giocatori. Non fu così però per Vincenzo Bosia, primo portiere di lungo corso del Toro, il quale vestì la maglia granata dal 1926-27 al 1934-35. Non che il Toro non avesse avuto buoni portieri prima di lui, ma i vari Arbenz, Morando I e Pennano non erano stati al suo livello.Nato ad Asti il 5 novembre 1906, Bosia detto “Cesin” si mise il luce nella squadra di casa e fu presto notato dal Torino. Una volta trasferito sotto la Mole nessuno avrebbe potuto immaginare che sarebbe rimasto in granata ben nove stagioni, sei delle quali da titolare. A tutti gli effetti Bosia, vincitore di due scudetti di cui uno revocato, può dirsi una delle prime bandiere del Toro. Dal fisico non possente, non copriva la porta come i giganti dell'epoca, precursore dei quali era stato William “fatty” Foulke, goalkeeper che difese i colori dello Sheffield United, del Chelsea e del Bradford City fino al 1907. Bosia non era alto, ma estremamente agile e apparteneva a quella categoria di portieri che negli anni '20 cominciavano a delineare le proprie caratteristiche fatte di tecnica e di comprensione dell'evoluzione del gioco avversario. Come riserve ebbe prima Eugenio Staccione, poi Manlio Bacigalupo, fratello maggiore di Valerio. La sua carriera con la maglia del Toro parla di 191 presenze, un vero alfiere della squadra come del resto il suo compagno di squadra Baloncieri, che provocò tantissimi dispiaceri ai colleghi di Cesin segnando valanghe di gol.Alla fine della sua esperienza torinese, Bosia passò il testimone a Giuseppe Maina, che gli fu riserva dal '31 al '35. E mi piace pensare che lo stesso testimone sia passato di mano in mano a grandi campioni nel corso dei decenni a venire. Campioni come Bodoira, Lido Vieri, Bacigalupo, il “giaguaro” Castellini e Terraneo.
Giacomo Serafinelli
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