mondo granata

Walk the line

Redazione Toro News
di Marco Peroni

Tra un Europeo che non riesce a coinvolgermi e un calcio mercato indecifrabile, ieri mi sono goduto il film (bellissimo) sulla vita di Johnny Cash: un modo come un altro per caricarmi a poche ore dal concerto di Bob Dylan in Valle d’Aosta. Mi sono lasciato trasportare da quel vento di trasgressione, permettendo ad alcune ombre che mi porto dentro di venire a galla e mettere un po’ tutto meravigliosamente in crisi. Quella voce; quel suono acustico e tagliente; quell’inquietudine che brucia anche sotto la più classica delle ballate; quel Paese, l’America degli anni Cinquanta, travolto da una generazione che reclama a colpi di rock’n’roll; quei concerti dove le auto piene di ragazzi arrivano facendo polvere; quelle tournèe dove si affacciano uno dopo l'altro Johnny Cash, Jerry Lee Lewis, Elvis, Roy Orbison; quel pubblico immenso che si butta con tutto il corpo in in quegli assoli indiavolati; e la radio che raggiunge ogni inquietudine incollata alle casse in attesa di rivelazioni.Mi ha commosso la storia d’amore, tenera e travolgente, fra Johnny Cash e June Carter: entrambi sposati e con figli, che nell’Americana puritana trovano il modo di abbattere ogni pregiudizio per dare retta a loro stessi. E, sempre, il rock’n’roll come incoraggiamento, colonna sonora di milioni di storie che non stanno più nelle sceneggiature delle generazioni precedenti. Mi ha colpito la figura del padre di Cash, che per tutta la vita gli rimprovera di essere un fallito, mortificandone il talento e rimarcando soltanto le sue sconfitte: una sorta di Oddenino americano (detto ovviamente con tutta l'ironia del caso, ok?) che prova ogni giorno a scoraggiare il tuo ottimismo.“Sai cosa esce da quella radio Johnny? Niente. Niente. Niente”.(il padre di Cash, parlando al ragazzino che è sempre lì attaccato)“Eppur si muove…” “Toro: è caos…” “Cairo il decisionista è ancora fermo… “Toro alla deriva”(il giornalista, parlando del Toro e di Cairo ai quali noi siamo attaccati)...Mi sono alzato alla fine del film… e tempo due minuti ho finito per pensare al Toro. Non è poi così strano: siamo innamorati di una squadra che nel suo caracollare incerto fra gloria e guai, salite e discese, sparizioni e rinascite, ci ha lasciato in bocca il gusto per le avventure più insidiose... E pazienza se qualcuno prova ogni tanto a costringerci nei confini della cronaca sportiva: noi non siamo lì dove ci cerca. Un abbraccio a tutti, Marco