Sono passati più di 48 anni da quella domenica di metà maggio. Quello era un Toro scatenato, era un Toro arrembante che non aveva paura di nessuno e che, il 16 maggio 1976, arrivò a 90 minuti dalla gloria. Alle ore 16, sotto un sole cocente che però non intimorì quasi 65mila persone, quel Torino, per la prima volta col cuore in gola, affrontò i 90 minuti più lunghi della vita per conquistare uno scudetto che non veniva cucito sulla maglia granata da 27 anni.
Quell’incornata in Torino-Cesena che valse l’ultimo scudetto granata
INTRODUZIONE
—Tragica e nel segno del dolore era stata l'ultima vittoria dello scudetto del Torino. Era il 1949, il Torino vinse il quarto scudetto consecutivo (quinto se non consideriamo la pausa del campionato causa guerra), ma quella fu una vittoria amara: tutti avevano ancora negli occhi la tragedia di Superga, gli Invincibili del Grande Torino si arresero al fato, e nessuno aveva voglia di festeggiare quello scudetto che il Toro conquistò ampiamente in anticipo. Quel 16 maggio 1976, nel capoluogo piemontese si respirava un'aria fresca, di rinascita. Ma torniamo indietro. 363 giorni prima quella domenica di festa, il 18 maggio 1975, il Torino volò a Cagliari per l'ultima giornata di Serie A 1974-1975, i granata di Edmondo Fabbri furono ospiti dei rossoblù di Luigi Radice. Fu una partita che non aveva più nulla da dire al campionato, le due squadre si erano salvate con largo anticipo e al Sant'Elia di Cagliari nessuno esultò in quel pareggio a reti inviolate che chiuse il sipario su un campionato vinto dalla Juventus. Quel 18 maggio 1975, simbolicamente, Fabbri passò il testimone a Radice: il nativo di Monza venne infatti scelto come nuovo allenatore del Torino nella stagione 1975-1976. Il Torino fu orfano dello storico capitano Ferrini che entrò a far parte dello staff del "tedesco" - così veniva soprannominato Radice. In granata arrivarono i giovani Pecci dal Bologna e Patrizio Sala dal Monza, e il libero Caporale, difensore un po' in là con gli anni ma di sicuro affidamento. L'avvio di campionato non fu dei migliori, il Toro perse la prima giornata contro il Bologna, ma riuscì a rialzarsi subito infilando 6 risultati utili consecutivi prima dell'appuntamento con la Juventus campione d'Italia all'ottava giornata.
Quella Juve era formata da gente del calibro di Zoff, Gentile, Tardelli, Scirea, Causio, Anastasi, Damiani, Capello e il numero 9 dei numeri 9 Bettega, assente nel derby per un attacco enterocolite la notte prima. Una squadra formidabile insomma, ma di fronte trovò una squadra di uomini che avevano il fuoco nelle vene, erano mossi da una carica che in granata non si vedeva dagli anni del Dopo Guerra: il giaguaro Castellini fra i pali, Caporale libero, Patrizio Sala diga impenetrabile davanti alla difesa, Pecci al suo fianco a dirigere il gioco, Claudio Sala, il poeta del gol, a battere la fascia destra, Zaccarelli nel ruolo di interno sinistro, e in attacco i Gemelli del gol Graziani e Pulici, una coppia che da stagioni ormai viaggiava in doppia cifra di gol segnati. I due formavano una coppia micidiale e complementare per le caratteristiche, uno più mobile e rapido, Pulici che chiuse la stagione 74-75 con addirittura 23 gol, l'altro più 9 vero, più abile nel gioco aereo e forte fisicamente, Graziani che firmò 16 gol nella stagione appena passata. I Gemelli del gol, quel 7 dicembre 1975, non fecero capire nulla ai cugini. "Un Torino forte, concentrato, deciso anche nel prendersi i rischi difensivi, nel correre pericoli inevitabili per una squadra che vuole vincere con il gioco, senza speculare". scrisse La Stampa dell'8 dicembre, il Toro vinse 2-0 quel derby con gol di testa di Graziani e rigore di Pulici, tutto nel giro di 3 minuti. E' estasi granata: quel Toro imponeva il suo gioco, pressava a tutto campo mantenendo un baricentro altissimo per l'epoca, continui cambi di posizione con Claudio Sala che svariava su tutto il fronte d'attacco con Patrizio Sala e Zaccarelli che si inserivano dalle retrovie, Salvadori sulla sinistra era una locomotiva sempre puntuale per dare il suo apporto alla manovra offensiva. La vittoria del derby d'andata incorona i granata come principali antagonisti della Juve campione.
Nella giornata successiva al derby, il Toro vinse anche a San Siro contro il Milan, a Firenze e in casa con la Lazio. Dopo quella sconfitta alla prima di campionato, il Torino mette in fila 16 risultati utili prima di cadere nuovamente a Perugia e a Milano contro l'Inter in un febbraio che stava per minare le pretese al titolo dei granata. La Juventus si portò infatti a +5. La lotta a distanza tra Torino e Juventus vide un crocevia fondamentale il 21 marzo 1976, una Juve agitata dagli animi dello spogliatoio perse a Cesena, mentre il Toro vinse a Roma grazie a Graziani. La settimana successiva arrivò il derby di ritorno e anche questo, fu un derby a senso unico: il Toro come sempre arrembante preme nel primo tempo e va avanti 0-2 nel primo tempo grazie ai due autogol di Cuccureddu e di Damiani sulla conclusione di Patrizio Sala. Il Toro dominò in campo, ma nell'intervallo perse un suo grande protagonista: Castellini venne ferito da un petardo lanciato dalla curva Filadelfia (sede del tifo juventino) e dopo l’intervallo fu costretto a lasciare il posto a Cazzaniga. Nel secondo tempo la Juventus riuscì ad accorciare le distanze con un colpo di testa di Bettega, ma non bastò per piegare la volontà del Torino che vinse anche il secondo derby per 1-2 - l'episodio che vide coinvolto Castellini e i disordini sugli spalti costrinsero il giudice sportivo ad assegnare la gara vinta a tavolino al Torino per 0-2. I granata accorciarono ancora sulla vetta, solo un punto divideva la Juve capolista dal Toro secondo, ma il destino cambiò il 4 aprile contro le milanesi: il Toro in casa contro il Milan passa subito in vantaggio con Graziani, mentre la Juve, in trasferta contro l'Inter, timida e troppo difensivista, non impensierisce mai i nerazzurri che all'80 minuto trovarono il gol vittoria con Bertini su punizione. In contemporanea al Comunale, la Curva Maratona impazzì per il gol del raddoppio di Garritano, subentrato a Pulici, che mise il sigillo sul successo granata - poi divenuto 2-1 - e sul sorpasso in vetta alla Juventus. Cinque punti recuperati in tre partite e vetta conquistata degli uomini di Radice.
Una vetta che, nonostante due pareggi contro Lazio e Hellas Verona, il Toro riuscì a proteggere fino all'ultima partita di campionato di quel 16 maggio al Comunale contro i bianconeri del Cesena.
LA PARTITA
—Torino 44. Juventus 43. Solo un punto separa le due torinesi. Una stagione a rincorrere i bianconeri fino al sorpasso del 4 aprile nell’incrocio contro le milanesi. Un mese è passato da quando il Toro conquistò il primo posto scalzando i cugini, ma dopo una rimonta sfrenata i granata nono sono riusciti a creare il gap buono per far suo lo scudetto in anticipo come quello di 27 anni prima. Ma si sa, il vecchio cuore granata è abituato a soffrire. Al Comunale, per gli ultimi 90 minuti del campionato, arriva il Cesena, mentre la Juventus, a cui serve per forza una vittoria, parte alla volta di Perugia. Con il cuore in gola, con le gambe paralizzate dalla tensione, con il pensiero a Perugia, con gli occhi addosso a questo Cesena che non molla un centimetro - La Stampa, 17 maggio 1976 - il Toro si gioca lo scudetto, una gioia che manca ai granata dai tempi del Grande Torino e un trionfo porterebbe in trionfo questi uomini che per un anno hanno sudato, lottato e sputato sangue per quella maglia che diventa una seconda pelle. Per questo il cuore in gola. Per questo le gambe paralizzate. Perchè per il Torino, ogni trionfo vale di più. Una vittoria che i granata non trovano, ma poco conta.
Contro il Cesena, davanti a 65mila persone circa che si sfogano in un urlo "Toro-Toro" che sembra squassare lo stadio, valicarne i bordi, spandersi per la città, il Torino voleva una vittoria per portare a 15 il numero di successi in casa e vincere senza far calcoli lo scudetto davanti ai cugini. Ma i bianconeri non erano squadra facile da affrontare, all’andata i granata non andarono oltre un 1-1 al giro di boa che diede inizio al febbraio dell’orrore. Il peso specifico della partita si sente eccome e con gli occhi sul rettangolo verde e l’orecchio a Perugia, sugli spalti la festa non stenta a fermarsi. La partita è bloccata, il Cesena non molla un centimetro e, rintanato nella sua metà campo nel più classico dei catenacci, ha espressamente dichiarato al Toro che vincere non sarebbe stato per nulla facile. "Ed i granata hanno patito la situazione. La tensione bloccava loro gambe e riflessi, non c'era più la scioltezza necessaria per il solito pressing, le manovre venivano eseguite di forza, spesso su iniziative individuali. Graziani era in giornata negativa, Pulici si batteva ma riceveva pochi palloni, Claudio Sala ha fatto miracoli con la gamba ancora malconcia dopo la botta ed i sette punti di Verona, Pecci ha retto venti minuti poi il caldo l'ha fermato, consentendogli soltanto di rientrare nel vivo del gioco dopo momenti di pausa". Il primo tempo scivola così via a reti bianche così come a Perugia, dove la Juve stenta a a fare gioco, ma avrebbe gli uomini per risolvere il match da un momento all’altro.
Si riprende dunque ancora in equilibrio con il Toro sempre virtualmente primo in classifica con 45 punti e la Juventus seconda a quota 44. I minuti del secondo tempo passano, le lancette corrono ma il tempo sembra non passare mai, quando però, al 10’ del secondo tempo, i padroni di casa esultano, non a Torino, bensì a Perugia: i biancorossi infatti abbattono le difese bianconere e si portano in vantaggio con la rete di Curi. Il gol fa impazzire anche il Comunale e la Maratona che alzano ancora di più i decibel rinvigorendo i ragazzi di Radice che, poco più tardi, fanno esplodere di nuovo lo stadio. Patrizio Sala, largo sulla destra, cerca il cross per Graziani, l’attaccante fallisce il controllo ma tiene vivo il pallone allargandosi sulla sinistra, Graziani addomestica il pallone e vede con la coda dell’occhio il taglio centrale di Pulici, fa partire così un cross basso sul quale il suo gemello si tuffa e con un’incornata perentoria batte Boranga gonfiando la rete. Toro 1, Cesena 0. Iconica divenne quell’esultanza di Pulici, quel salto con le braccia al cielo divenne simbolo di liberazione ed euforia, quel tuffo così potente e leggiadro aveva spezzato le catene del Toro che da 27 anni lo avevano imprigionato. La gioia del popolo granata è irrefrenabile, il gol confezionato dai Gemelli del gol stava consegnando il 7° scudetto della storia al Torino. Niente poteva negare loro questa emozione, nemmeno il tanto beffardo quanto ininfluente autogol di Mozzini pochi minuti più tardi che chiuse la partita sull’1-1. Il Torino è campione, torna sul tetto d’Italia 27 anni dopo l’ultima volta, trascinato dai Gemelli del gol Pulici e Graziani, capocannoniere e vice del campionato, dal poeta del gol Claudio Sala, dal giaguaro Castellini, da Zaccheroni, dal giovane Patrizio Sala, voluto espressamente dal “tedesco”, Gigi Radice, l’unico che a caldo al triplice fischio non esulta a causa dell’autogol di Mozzoni, ma anche l’unico ad essere riuscito a dare un’identità al Torino dell’ultimo scudetto che ancora oggi, 48 anni dopo, ricorda come se fosse ieri quel tuffo e quel salto di Pulici diventato leggenda.
IL TABELLINO
—TORINO - CESENA 1-1 (0-0)
Torino : Castellini, Santin, Salvadori, P.Sala, Mozzini, Caporale, C.Sala, Pecci, Graziani, Zaccarelli, Pulici. A disposizione: Cazzaniga, Garritano, Gorin II. All.: Radice.
Cesena: Boranga, Ceccarelli, Oddi, Festa, Danova, Cera, Rognoni, Frustalupi, Bertarelli, Bittolo, Urban. A disposizione: Bardin, Zuccheri, Petrini. All.: Marchioro.
Arbitro: Casarin di Milano.
Reti: Pulici 61' (T), Aut.Mozzini 70' (C).
Spettatori: 64.790
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