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GRAN TORINO

Lecce, Caporetto e Van Gogh

Lecce, Caporetto e Van Gogh - immagine 1
Torna l'appuntamento con "Gran Torino" la rubrica di Danilo Baccarani
Danilo Baccarani
Danilo Baccarani Columnist 

Teatro di sventure, incubi e pessimi ricordi, il Via del Mare di Lecce è stata più volte la nostra Caporetto.

Infatti, nel computo delle sfide con i Salentini, tra serie A e serie B, il Toro ha vinto soltanto due volte in dodici partite.

Inutile girarci intorno, il Via del Mare è il luogo dove si sono consumate alcune delle nostre peggiori tragedie sportive: ben due retrocessioni e una disfatta che ha segnato l’inizio della fine per l’era Mazzarri, aprendo il periodo più grigio della storia recente del Toro.

Ricordare quel 3-1 del giugno 1989, sarebbe nefasto visti i chiari di luna dell’ultimo periodo.

Perché questo Toro scornato, sfiduciato, sfortunato per qualche infortunio di troppo ma soprattutto incapace di venire a capo di una situazione davvero controversa, merita argomenti più lieti.

Eppure, lo stupore, al termine di quella giornata terribile, lo ricordo tuttora. Era andata in fumo la speranza, calpestata prontamente dal Lecce di Sor Carletto Mazzone, uno che ha avuto un solo difetto: non aver allenato il Toro.

Era la seconda volta che scendevamo agli inferi e non sapevamo che stavamo per inaugurare una striscia niente male.

Ma torniamo a noi.

Il match di cui parliamo oggi per presentare Lecce-Toro di sabato prossimo, è l’ultima edizione andata in scena nel marzo scorso.

Giornata soleggiata e ventilata come spesso accade in quel di Lecce, Toro reduce da una vittoria casalinga contro il Bologna.

Il Toro di quel pomeriggio è squadra cinica, decisa, pragmatica: non fa nulla di straordinario ma lo fa con il piglio della squadra che vuole portare via i tre punti.

Partono meglio i salentini che palleggiano ma non affondano. Forse è questo il loro peccato originale, forse è qui che costruiamo il nostro successo.

Ci bastano solo tre minuti, per dirla con una canzone di un gruppo salentino, che mi è più indigesto della peperonata.

Eppure va proprio così. Due lampi nel buio ed è doppio vantaggio.

Il primo gol lo segna Singo sugli sviluppi di un calcio piazzato, dopo un riuscitissimo schema. La frase contiene diverse contraddizioni per il mondo granata: gol, punizione, schema.

Il piede educato di Miranchuk riceve dal mancino di Rodriguez.

Cross del russo sul palo lungo, Singo, in corsa affonda al volo. 1-0 per noi.

Sono commosso. Segnare su schema. Incredibile dictu.

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Non passano nemmeno tre minuti e assistiamo allo show di Radonijc.

Due parole su Rado. Stiamo parlando di un genio con colpi da campione. Solo che questi colpi sono pennellate estemporanee. Rado è Van Gogh che si taglia un orecchio per amore. È Pollock che disegna il caos, Jerry Lee Lewis che incendia le folle. Rado non ha tempo per essere perfetto. Rado è così, prendere o lasciare.

Ma quando al 23’, prende Hulk-Baschirotto e lo semina, lasciandolo sul posto, Rado decide che è il momento di disegnare, incendiare, divertire.

Il suo scatto è brutale. Baschirotto era stato, fino a quel momento il difensore più acclamato del campionato, la sorpresa, la storia da raccontare.

Ma Rado che non ha cuore, e probabilmente sentimenti davvero contrastanti nel suo personale caos, lo prende, lo appallottola e lo butta via come si fa con l’involucro di uno snack.

Rado corre veloce, lo salta, entra in area dal lato corto e centra basso per l’accorrente Sanabria. 2-0.

Poi succede che anche la versione più matura di una squadra che matura non è, si distrae e rischia di compromettere quanto di buono fatto fino a quel momento.

Si scatena un parapiglia per un fallo di Ilic su Strefezza e ci caschiamo con tutti i pantaloni.

Milinkovic-Savic scatta dalla sua porta alla linea mediana del campo, le panchine si azzuffano, Ilic che ha combinato una leggerezza, viene circondato da un nugolo di leccesi.

In un attimo è Fight club.

Poteva andare peggio. Rimediamo due gialli ma l’immagine di Vanja che parte per difendere un suo compagno mi ha ricordato una scena analoga, con Valerio Di Cesare, protagonista assoluto.

Due così, in una rissa, li vorrei sempre dalla mia parte.

Ecco, l’ho detto.

Il resto è letteratura di bassa qualità.

Il Lecce ci prova senza mai tirare in porta, il Toro potrebbe triplicare solo nel finale. Non rischiamo mai nulla, non ci scopriamo e portiamo via la vittoria.

Sabato, necessariamente, invochiamo dei punti. Uno o tre, fa lo stesso.

Serve muovere la classifica.

Serve un colpo di coda, nello stadio in cui siamo meno avvezzi a farli.

Non invochiamo improvvisamente il bel gioco, anzi mi garberebbe molto portare via la posta piena con una partita da Brutti, sporchi e cattivi.

Magari ripescando i giocatori che possono darti quel boost necessario ad uscire, seppur per novanta minuti, da un periodo negativo.

Lo ammetto. Per quanto mi faccia girare le scatole, spero sia Rado ad essere decisivo.

Magari in compagnia di Ilic che deve aver smarrito la retta via, fatta di classe e colpi da signore del centrocampo, per trasformarsi in una anonima comparsa.

Potrebbe toccare a Vlasic, lontano parente del giocatore ammirato l’anno scorso.

Sogno per un attimo che la sfiga se ne vada.

Che Buongiorno torni nei tre (o nei quattro!) dietro, che Zapata vada in panchina e che Tameze sia abile e arruolabile.

La verità è che troppi giocatori stanno performando sotto le loro possibilità e le nostre aspettative.

Non che immaginassimo cose eccezionali, ma nemmeno la depressione dell’ultimo periodo.

Quel giorno di trentaquattro anni fa, Lecce e il Lecce certificarono una retrocessione che era maturata nei mesi precedenti.

Non fu Reggio Emilia, per intenderci.

Ma il fantasma di quella giornata, aleggia puntualmente sulle nostre teste e campeggia nelle nostre pagine di storia.

Il passato non si può e non si deve cancellare ma la delusione sì.

E vendicare, sportivamente, ogni volta che è possibile, le lacrime di Cravero, Fuser, Ferri e Benedetti, credo sia necessario.

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