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Ancora tu?

Diego Fornero
Alla fine della fiera, la zampata è sempre lui a metterla: Rolando Bianchi, giunto al Torino il 23 agosto di quattro anni fa e, in un modo o nell'altro, entrato già un po' nella storia granata.Già, perché anche se l'obiettivo dichiarato...

Alla fine della fiera, la zampata è sempre lui a metterla: Rolando Bianchi, giunto al Torino il 23 agosto di quattro anni fa e, in un modo o nell'altro, entrato già un po' nella storia granata.Già, perché anche se l'obiettivo dichiarato dell'attaccante, raggiungere la top ten dei marcatori granata di ogni tempo superando i 70 goal dell'indimenticabile Ezio Loik, realizzati nelle cinque stagioni del grande Torino, tutte scudettate, si avvicina sempre di più (ormai ne mancano soltanto tre), il dato statistico non è sufficiente a rappresentare chi è e cosa significa Rolando per il Torino.AMARCORD - Di quanti vestivano il granata il 31 agosto del 2008, data dell'esordio dell'attuale Capitano nel "fuoco fatuo" del 3-0 casalingo rifilato al Lecce, sono rimasti soltanto Rolando Bianchi ed Angelo Ogbonna. Ma se l'ormai rinominato "Angelo azzurro" era un ventenne di belle speranze appena rientrato dal prestito al Crotone, Bianchi rappresentava il vero colpaccio del mercato estivo, giunto per 7,5 milioni di euro alla corte di Gianni De Biasi, dopo essere stato corteggiato invano nell'inverno precedente, per poi trasferirsi dal Manchester City alla Lazio. Il bomber bergamasco, infatti, aveva già avuto modo di "conoscere" i suoi futuri tifosi, rimediando sonore fischiate il 27 gennaio 2008, quando, subentrando a Rocchi con la maglia biancazzurra, aveva ottenuto, di tutta risposta, una quantità di fischi tale da innervosirsi e rimediare la bellezza di due cartellini gialli in cinque minuti.RIPAGARE I TIFOSI - Sarà stato quel battesimo di fuoco, o sarà stata la successiva stagione, tutto sommato deludente nonostante i 9 goal all'attivo, alcuni fra l'altro di pregevole fattura (basti pensare ai due colpi di tacco casalinghi a Siena e Sampdoria, all'avvitata di testa contro l'Inter di Mourinho a San Siro, o al vano pallonetto che batteva Rubinho in quel famigerato match contro il Genoa che sanciva la retrocessione del Torino), fatto sta che Rolando non ha perso occasione, da allora, parlando sempre attraverso il fratello-agente di ripetere una parola d'ordine "Ripagare i tifosi dell'affetto ricevuto e riportare il Torino in Serie A". Ebbene, il 20 maggio scorso, sotto il diluvio in cui probabilmente molti dei nostri lettori si sono radunati festanti, questa Serie tanto attesa è finalmente arrivata, ma la "consecutio" è mancata: Rolando Bianchi è ancora qua.LE VOCI - Considerate le premesse, del resto, sarebbe stato facile aspettarsi che proprio questa promozione così sudata potesse rappresentare, in un certo senso, un "punto di arrivo". Del resto, dopo il "quasi trasferimento" al Catania, saltato all'ultimo secondo lo scorso inverno, molti si attendevano questo epilogo. Così non è stato, e sul tema le versioni e le "voci di corridoio" si sprecano. C'è chi sostiene che si tratti di una scelta dovuto al lauto stipendio (che supera il milione di Euro netti, cifra che fa di Rolando, di gran lunga, il meglio retribuito della truppa di Ventura, quest'anno avvicinato soltanto da Gillet e Cerci) che, a detta di alcuni, il giocatore avrebbe difficoltà a reperire altrove. Altri, romanticamente, vi riconoscono un attaccamento viscerale alla maglia. Altri, forse la maggioranza, individuano in questa permanenza in granata una sorta di "splendida cocciutaggine", una caratteristica assai rara da inviduare nei calciatori di oggi giorno ma che molti, siamo sicuri, potranno senza dubbio rinvenire in alcuni di quei grandi nomi che hanno fatto grande (anche) la storia del Torino.LA FASCIA - C'è un dettaglio da non trascurare, infatti, nella "favola" del Torino e di Rolando Bianchi. Quella fascia da Capitano che Rolando non ha mai avuto dubbi, ancor più che sul "se" indossare (ricorderete la situazione tragicomica entro la quale era maturata tale scelta, dopo l'addio al granata del pavido David Di Michele), sul "come" indossare, ossia con una dignità di cui nessuno, da anni, poteva fregiarsi da queste parti. Ancor più che i lauti stipendi (non così difficli da contrattare dopo che hai segnato 27 goal in una stagione, come accaduto nel 2009/2010), o le discusse (e discutibili) velleità paterne del Presidente Cairo (che ha più volte dichiarato, almeno fino alla scorsa estate, di considerare Bianchi alla pari di un figlio), potrebbe essere stata proprio quella fascia a condizionare il futuro, ed il presente, del bomber cresciuto nel vivaio dell'Atalanta."TORINO E' CASA MIA" - Singolare, comunque, che dopo un'interminabile e penosa sfilata di "finti devoti", che negli anni hanno promesso amore alla causa salvo abbandonare la nave alla prima difficoltà, molti non abbiano attribuito il giusto peso alle parole trapelate dal Capitano lo scorso giugno, quando in diretta nazionale non ha avuto alcun problema a dichiarare quel "Questa è casa mia, per mandarmi via dovrebbero sfrattarmi" che ben poche dietrologie dovrebbe suggerire, rimediando persino una multa dalla Società in quanto "non autorizzato a rilasciare dichiarazioni". Nessuno di noi può entrare nella testa del Capitano, salvo forse chi lo conosce davvero o ne raccoglie le confidenze, e chi vi scrive non appartiene certamente a questa cerchia: è chiaro, però, che difficilmente potrebbe non definirsi questa relazione in altro modo se non come una lunga, ed affascinante, storia d'amore.UN AMORE IMPERFETTO - Un amore, però, necessariamente imperfetto. Un po' perché il calcio è fenomeno così tanto umano che dalla perfezione sarebbe reso unicamente noioso, un po' perché gli ingredienti classici, e stucchevoli, mancano, o perlomeno non sono sotto gli occhi di tutti. Bianchi non ha mai giurato eterno amore alla maglia, non ha mai millantato una sua fede granata, non ha mai nemmeno baciato lo stemmino a scudo, né si è mai intrattenuto con tifoserie organizzate per attirarsi qualche facile simpatia, non ha neanche (ad essere onesti) nemmeno ancora firmato un prolungamento di contratto, ammesso che qualcuno glielo abbia offerto. La sua professionalità a volte è stata presa persino per freddezza, e Rolando altro non ha fatto che continuare a fare sempre, e bene, il suo mestiere: quello di segnare.Anche sabato sera, dopo un rigore brutto sul quale possiamo tirare una riga, ha buttato in rete, con una girata al volo di nuca, una palla che forse una ventina (mal contata) di altri attaccanti al mondo sarebbe riuscito a colpire così. E l'ha fatto con la stessa voglia con la quale rincorreva i palloni contro l'Omegna o contro la Cheraschese nelle amichevoli appena trascorse. Forse è semplicemente questo il segreto di Rolando: mettere voglia e cuore su quella palla, senza curarsi di nient'altro. Amando il proprio lavoro, ed amando, in fondo, anche quella maglia che, siamo sinceri, gli sembra cucita addosso.In un modo o nell'altro, bentornato Capitano.Diego Fornero   (Foto Dreosti)