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Bianchi e il Toro, cinque anni di passione

Federico Danesi
Non serve conoscere a memoria il Devoto Oli, basta un qualsiasi vocabolario se mai non fosse chiaro il significato. Professionista, nello sport, è chi “esercita una professione sportiva a tempo pieno ed è perciò...

Non serve conoscere a memoria il Devoto Oli, basta un qualsiasi vocabolario se mai non fosse chiaro il significato. Professionista, nello sport, è chi “esercita una professione sportiva a tempo pieno ed è perciò remunerato dalla società sportiva per la quale gareggia”. E Rolando Bianchi lo è, a tutto tondo e non solo da quando è sbarcato a Torino.

 

Ma è anche un libero professionista, come tutti quelli che di mestiere fanno i calciatori, anche se in questo momento più che altro è un professionista libero e non solo per un facile gioco di parole. Libero di accasarsi, sempre che arrivi l'occasione giusta, quella che a trent'anni meriterebbe e che in fondo potrebbe anche essere l'ultima buona. Libero anche però di chiedere rispetto per il suo passato e presente, rispondendo esclusivamente sul campo.

 

Che fosse uomo di poche e meditate parole lo si è capito sin dal suo inizio torinese. Nessun proclama, ché non è nelle sue corde, solo voglia di dimostrare d'essere uomo da Toro. Capace di unire sin da subito e di dividere successivamente, per quello che gli è riuscito di combinare in campo  come fuori. L'obiezione più facile, ancorché legata a fatta concreti, sta nel suo peso specifico: con lui come perno dell'attacco, attorno al quale sono ruotati in molti, il Toro è andato in B e ci ha messo tre anni per risalire. E da agosto a questa parte, sappiamo in fondo tutti come sta andando.

 

Tutto vero. Però lo è anche il fatto che giocare con certe pressioni sulle spalle, ancorché assolutamente ben pagati com'è il capitano, non è decisamente semplice. Bianchi è passato indenne da retrocessioni e contestazioni, anche feroci e ben oltre i limiti del lecito, al ristorante come alla Sisport e persino all'Olimpico (leggi post Padova 2011). E lui mai si è tirato indietro, caricandosi anche spesso il peso della squadra sulle spalle anche quando lo si costringeva ad un gioco che non era il suo.

 

Contano i record? Certo ed essere entrato nel ristretto novero dei migliori bomber in granata di sempre se lo porterà sempre nel cuore. Conta da due stagioni essere anche e spesso al centro delle voci di mercato in uscita? Certo, conta anche questo e non poco perché l'impressione da fiori è che la vicenda sia sempre stata gestita con troppa superficialità da una parte e dall'altra, come se la fine fosse nota a tutti ma nessuno in fondo volesse cambiarla. Lui ha ribadito di voler restare, buttando la palla dalla parte di Cairo più che di Petrachi, uno con cui difficilmente andrebbe in vacanza. La risposta la conosciamo tutti, ma almeno per altre sette partite possiamo rivederlo da capitano. In campo o fuori poco importa.Federico Danesi(foto M.Dreosti)