Sull'importanza della famiglia e del tifo per il Toro: "Per me la famiglia è sempre stata importante, ora purtroppo non ho più i genitori e i nonni. I miei genitori erano entrambi tifosi granata e quando c'è stato il fallimento del Torino nel 2005 sognavo di prenderlo. Era però il 12 agosto ma io non mi sentivo preparato perché il calcio è un mondo difficile, non è solo un'azienda perché ci sono anche media e tifosi. Io avevo però i miei che erano tifosi e mia madre mi spingeva a prenderlo. In quel caso alla fine anche se era agosto e stavo andando in vacanza, per compiacere loro, ho fatto una cosa abbastanza rischiosa. Ho preso il Toro il 2 settembre 2005 senza avere una squadra e col campionato iniziato, abbiamo avuto una settimana per la campagna acquisti. Quell'annata è stata magica e alla fine siamo andati in Serie A".
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Il presidente granata continua parlando dell'impegno: "Ho sempre lavorato molto, anche 70/80 ore a settimana. Il talento senza impegno non conta. Quel mese in cui ho comprato il Toro sono arrivato anche a lavorare 120 ore a settimana. Quando andavo a letto dormivo ma in testa era una continuazione di quello che stavo facendo. Ci vuole una dedizione totale. Questo è l'unico modo per provare ad avere risultati. Come riconoscere il talento nei collaboratori? Io ho una certa empatia per capire chi ho davanti. Il talento poi però va messo alla prova. Conta quello che una persona fa vedere nelle settimane e nei mesi. La fiducia è importante ma non giusto affidarsi completamente a qualcuno. Deve esserci uno scambio reciproco, questa è la cosa che può dare lo stimolo migliore a tutti".
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