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In vista della sfida dell'Olimpico contro la Roma, due parole con un protagonista di quella finale indimenticabile che portò a Torino la Coppa Italia contro tutto e tutti: Giorgio Venturin.
Contro il Napoli Mihajlovic ha schierato un Torino non prudente, nella speranza di sorprendere l’avversario. Così come nel derby, non ha funzionato. Che segnale è questo per i suoi giocatori?
Forse Sinisa aveva intravisto un buon stato di forma e la possibilità di fare male al Napoli aggredendolo. Però Hamsik e compagni sono difficili da affrontare perché impongono il loro gioco, attuano un pressing molto alto e nel momento in cui vanno in vantaggio non smettono di macinare gioco. Sono pericolosissimi proprio perché a quel punto sfruttano gli spazi che inevitabilmente l’altra squadra concede.
È un Toro in crisi di identità o di risultati?
Da quello che ho visto, il Toro è in una fase in cui sta cercando, con grosse difficoltà, di trovare il bandolo della matassa. Secondo me ha un organico da squadra di fascia alta, da primi otto posti. Però questa qualità sulla carta bisogna tramutarla in risultati e fare punti per avere un percorso lineare. Quest’anno purtroppo i granata stanno pagando la discontinuità. La rosa può far ben sperare, ma il Toro può fare di più.
Come si trova la quadratura del cerchio a dicembre inoltrato?
Se lo sapessi allenerei pure io (ride, ndr)! Non è semplice, probabilmente Mihajlovic non ha ancora chiaro il suo undici ideale. All’interno di uno spogliatoio tutti sono importanti, ma credo che le squadre che vogliano raggiungere certi traguardi debbano avere un undici iniziale ben definito (vedi l’Inter o il Napoli che cambiano pochissimo da partita a partita) e in questo momento l’allenatore del Torino non ha ancora definito la sua formazione “di fiducia”.
Domani sfida alla Roma in Coppa Italia. Mi pare di ricordare che lei una partita simile all’Olimpico l’abbia giocata…
Quel 5-2 per i giallorossi che ci valse comunque la Coppa rimane nella storia perché è ancora l’ultimo trofeo vinto dal Toro. Era un Toro di alto livello, dove c’era qualità e soprattutto un progetto importante.
Qual è stato il punto di forza di quella squadra?
Lo zoccolo duro. Parlo dei giocatori meno dotati tecnicamente o comunque più pratici e di sostanza: i Fusi, i Mussi, i Policano, i Bruno, gli Annoni. La nostra forza era in quel gruppo storico italiano. Per vincere poi devi anche avere qualcuno con qualità offensive e in quegli anni al Toro sono passati fior fiore di attaccanti, da Scifo a Casagrande, Martin Vazquez, Aguilera, Silenza, Paolino Poggi che quando entrò ne fece due alla Juve…
Tornando al presente e mantenendoci alla larga da ingenerosi paragoni, può essere ciò di cui parla lei, la sostanza, a difettare al Torino odierno? Manca la fibra degli uomini, lo spirito, i valori morali?
Può essere, ma dev’essere brava la società a comporre questo puzzle. Il Toro degli anni ’90 arrivava da una retrocessione. Con Fascetti vincemmo il campionato e poi su quel telaio si costruì il Toro di Mondonico, con l’inserimento di un pezzo importante ogni anno. Il lavoro di programmazione fu notevole e c’era un’idea ben definita di come si voleva strutturare e plasmare quella rosa di giocatori.
Adesso la Roma, poi, probabilmente, la Juve. La Coppa Italia rischia di essere già finita per Belotti e compagni?
È una vetrina importante e sarebbe un bel risultato passare il turno, andare ai quarti e giocarsi un derby. Sempre che anche la Juve ci arrivi… Sarò allo stadio e mi aspetto una partita giocata a viso aperto da entrambi i club. La Roma è una buonissima squadra, ma il Toro primo o poi deve riuscire a fare questo benedetto salto di qualità e spero che in questo match dia dei segnali tangibili.
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