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Capello lungo biondo, rude in campo, estroso fuori, da buon difensore argentino. Sarebbe irrispettoso derubricare Mariano Fernandez a meteora granata, perché in quella stagione di B 2003/’04 giocò praticamente tutti i minuti delle sue 29 presenze. Campionato purtroppo più che mediocre a livello di squadra, amaro preludio del prossimo fallimento. Lo ritroviamo oggi Direttore Sportivo, residente all’ombra della Mole e con la sorpresa di un’amicizia… di peso.
Buongiorno Mariano. È passato tanto tempo dalla tua ultima apparizione con la maglia granata. Cosa è successo in questi quasi quindici anni?
Dopo il Toro sono andato in Spagna, prima al Murcia e poi al Cordoba. Dopo sono tornato a giocare nella Serie A argentina e l’anno successivo mi sono trasferito alla Dinamo Bucarest di Walter Zenga. La mia carriera però è cambiata al Real Murcia, dove ho subito un brutto infortunio e sono dovuto stare fermo per molto mesi. Ho dovuto operarmi per ricostruire praticamente l’intero ginocchio e non sono più tornato lo stesso di prima.
Poi però sei tornato in Italia.
Sì, mi chiamò Paolo Di Canio alla Cisco Roma in Serie C. A certi livelli non riuscivo più a sostenere i ritmi di allenamento a causa del ginocchio, la Cisco era una società ambiziosa, così ho deciso di scendere di categoria per continuare a divertirmi. Negli anni successivi ho sempre scelto società che mi dessero piccole motivazioni per continuare a fare qualcosa di buono e quindi ho girato un po’ per l’Italia. Da tanti anni vivo a Torino, mia moglie è torinese, ho una bimba di cinque anni nata qui, per cui possiamo dire che Torino mi ha adottato.
Ritorno al passato. Cosa sapevi del Toro prima di venirci a giocare?
Un po’ della storia granata la conoscevo perché al Lanus, in Argentina, avevo avuto come allenatore Patricio Hernandez, che aveva giocato al Toro. Il Torino è una squadra famosa in tutto il mondo per quello che rappresenta la sua storia e la sua forza indomita. Al momento di trasferirmi avevo proposte dal Portogallo e da altre squadre di Serie A, ma sono voluto venire qui perché ero convinto dell’importanza di questa società. Purtroppo a livello sportivo e finanziario quello non fu un bel periodo, ma credo che una squadra forte tecnicamente come la nostra oggi difficilmente si può vedere in B: Sorrentino, Balzaretti, Tiribocchi, Ferrante, Fuser.
Cosa pensi della squadra attuale?
Dopo il fallimento, con l’arrivo di Cairo la società ha trovato una stabilità. Bisogna riconoscere il lavoro del presidente e del Direttore Sportivo Petrachi. Oggi il Torino è un club solido, costantemente in Serie A e molto ambito dai giocatori. I tifosi (mi ci metto anche io) e chi ama questi colori vorrebbero qualcosa in più a livello di ambizioni sportive, ma stiamo attenti a non fare il passo più lungo della gamba a livello economico.
C’è qualcuno in particolare che ti esalta?
Sicuramente Belotti per la grinta e lo spirito che ci mette in ogni partita. Un calo dopo la stagione indimenticabile di due anni fa, è normale, ma le sue potenzialità e qualità sono indiscutibili. Poi c’è il talento di Falque. Sono due giocatori completamente diversi, ma entrambi difficili da marcare. La squadra mi piace e penso abbia un allenatore esperto che sa tirare fuori il massimo dai calciatori. Spero torni presto a qualificarsi in Europa.
Da qualche anno hai intrapreso la carriera di Ds, come sta andando?
Durante la mia ultima stagione in campo a Matera ho iniziato a studiare, spinto dal mio allenatore dell’epoca. È un ruolo che mi è sempre piaciuto, sentivo di poterlo fare e ho accettato di iniziare proprio da Matera. Abbiamo vinto un campionato di Serie D e disputato poi due ottime stagioni in C. Dopo ho fatto consulenze in giro per l’Italia, ho vinto un'altra D col Cerignola, ho lavorato al Bisceglie. L’ultima mia esperienza è stata al Milano City al seguito di Ezio Rossi, mio ex allenatore ai tempi del Casale.
A proposito di uomini mercato, ci risulta che tu sia un grande amico di un bomber che ha appena lasciato Torino, ma partendo dalla sponda avversaria: Gonzalo Higuain. Confermi?
Sì, sono cresciuto insieme a suo fratello Nicolas. Eravamo ragazzini, lui voleva diventare calciatore, poi ha capito che non faceva per lui ed è diventato il mio procuratore prima e quello di Gonzalo poi. Conosco Gonzalo da tantissimi anni e in Argentina ho anche giocato con l’altro suo fratello, Federico. Si può dire che loro siano quasi di famiglia per me.
Visto che il derby si sta avvicinando, una curiosità: cosa ti diceva Higuain delle partite contro il Toro? Anche i giocatori della Juventus sentivano la stracittadina tanto quanto i tifosi del Toro?
Certo che sì. L’anno scorso l’ho vissuta da vicino perché seguivo la Juve. Sia chiaro, non per tifo, ma per l’amicizia con Gonzalo. E posso dirvi che anche loro la vedono come una partita importante, speciale tra tutte. Le possibilità delle Juve sono molto superiori, ma la storia del Toro ha dimostrato che con il cuore e la grinta si possono fare partite indimenticabili. Mi auguro che sia così anche nel prossimo derby. Di fronte c’è una Juve praticamente imbattibile, ma sappiamo che nel calcio l’imbattibilità non esiste. Spero che i ragazzi di Mazzarri si sveglino tutti col piede giusto e magari Cristiano Ronaldo con quello sbagliato. E poi non c’è più Higuain, per cui speriamo arrivi una gioia per la gente granata!
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