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Credits Foto: Nderim Kaceli
Le parole del Presidente Cairo, riportate dai media questa mattina e riferite al prezzo dei giocatori, sono l’implicita ammissione della mancanza di capacità, da parte della società, di agire in modo efficace verso la crescita tecnica e economica del Torino.
Nel calcio, non conta solo quanto si spende, ma se si spende bene. Questo principio potrebbe essere uno dei dieci comandamenti da appendere nell’ufficio di ogni aspirante Presidente di un club. La capacità di spesa conta, è evidente, ma senza una struttura in grado di individuare i profili giusti, qualsivoglia tipo di investimento, grande o piccolo che sia, equivale a puntare denaro alla roulette: alla lunga, vince sempre il banco.
Allora, le dichiarazioni del Presidente Cairo di questa mattina fanno, quantomeno, sollevare un sopracciglio. “Non è il prezzo di acquisto che garantisce il risultato, ma il rendimento di un giocatore. Cifre contenute per Maksimovic, Bremer, Lukic e Peres sono state mosse azzeccate: sono diventati colonne granata". Nulla di più giusto ma, pronunciandole, il rumore di vetri infranti è assordante. C’è molto di non detto. Non a caso, i tre esempi citati risalgono tutti al decennio scorso. Il più recente, Bremer, è stato acquistato dal club granata nel 2018. E bisogna andare ancora più indietro, avvicinandoci al decennio e oltre, per trovare profili come Zappacosta, Peres, Lukic e Darmian.
Dal 2019 a oggi, non c’è stata un’operazione di mercato a costi ridotti che abbia portato benefici, né sul piano tecnico né su quello economico. Mentre il Bologna puntava su Posch, Ferguson o Fabbian e il Verona scovava profili come Hien, Noslin, Cabal, Ngonge e Doig, il Torino spendeva oltre 25 milioni di euro (più ingaggi), solo dal 2021 ad oggi, per giocatori come Zima, Seck, Pellegri, Ilkhan, Karamoh, Bayeye, Sazonov, Radonjic.
Per intenderci, l'ultimo acquisto veramente degno di nota a costi contenuti, e puramente da un punto di vista tecnico e di costanza, è stato quello di un giocatore già maturo, nel 2020: Rodriguez, la cui storia si è conclusa lasciandolo andare a scadenza, da capitano del Torino e della Svizzera, per delle richieste considerate troppo esose. Con mesi a disposizione per individuare un sostituto, ad oggi, non è ancora stato trovato (salvo voler puntare su Masina). Anche qui si denota l’approssimazione rispetto alla gestione e alla pianificazione presente in una società.
La verità è che, se non ci fosse stato un prodotto delle giovanili come Buongiorno, con il quale fare cassa (ruolo in pare coperto lo scorso anno da Singo), probabilmente staremmo assistendo a uno smantellamento generale, preparandoci ad affrontare un campionato più vicino ai bassifondi di quanto non si faccia oggi. Di questo passo, però, il rischio è sempre dietro l’angolo. Ecco, le giovanili, un capitolo sulla cui gestione degli ultimi due decenni, e sul ruolo che rivestirebbe per far crescere economicamente una squadra e renderla sostenibile anche davanti agli imprevisti, visto le altre discutibili giustificazioni del Presidente che tirano in ballo gli investimenti personali fatti (in vent’anni) per coprire le perdite, andrebbe aperta un’altra, profonda, riflessione.
A smentire poi le parole di Cairo, è doveroso aggiungere come le plusvalenze recenti (o le potenziali tali), siano arrivate tutte da operazioni di tutt’altro tipo. Da profili giovani ma già noti e attenzionati dal calcio che conta, con investimenti più consistenti, medio/alti per un club come il nostro. Bellanova, Ricci, Schuurs (maledetto infortunio) e, in fondo, lo stesso Ilic, che ha dimostrato di avere comunque mercato e che potrebbe quest’anno essere la vera sorpresa in un centrocampo a tre, sono i giocatori che hanno fatto aumentare il valore dell'asset e dato garanzie tecniche al club (oltre a Buongiorno) negli ultimi anni. Anche l'investimento su Coco rientra in questo profilo e, in passato, quelli su Cerci e Belotti. D’altronde, se vogliamo vedere, alcuni tra gli affari più significativi in Serie A dell’ultimo biennio, come quello in procinto di essere di Koopmeiners, o quelli di Calafiori, Hojlund e Zirkzee, appartengono tutti, se parametrati alle disponibilità delle rispettive società, a questo filone.
Le parole del Presidente Cairo sembrano voler giustificare una strategia societaria che non regge, e non perché non sia valida, nel giusto mix, ma piuttosto per la costante incapacità di metterla in atto, al di fuori degli anni venturiani. Per riuscire a spendere poco e crescere tecnicamente, è cruciale avere le competenze adeguate e investire in un management qualificato, ancor più di quanto non sia necessario per chiudere operazioni su calciatori di alto livello e con maggiori garanzie. Allo stesso modo, per rendere realmente autosostenibile a livello finanziario un club, occorre conseguire risultati sportivi e fare i giusti investimenti, oltre che nel comparto tecnico, nella crescita del marchio e sugli asset patrimoniali e infrastrutturali (qualcuno ha detto stadio?). Tutti aspetti che, a distanza di vent’anni da quel lontano 2005, continuano, chiaramente, a mancare.
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