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‘Il mio modello è Falcao’

Con l'acquisto del regista Eugenio Corini comincia con il botto la campagna di rafforzamento del Toro. I più critici già storgono la bocca perchè non è un giovane e sembra uscito direttamente da quegli almanacchi che il presidente Cairo ha...
Redazione Toro News

Con l'acquisto del regista Eugenio Corini comincia con il botto la campagna di rafforzamento del Toro. I più critici già storgono la bocca perchè non è un giovane e sembra uscito direttamente da quegli almanacchi che il presidente Cairo ha promesso di non consultare più. Però da due anni a questa parte è il primo vero grande nome di fama e sostanza, dopo Muzzi e Abbiati, che sbarca sotto la Mole. Inoltre con il suo acquisto, a parametro zero, arriva un giocatore che ha ancora molto da dare e che ha fatto la fortuna di Simone Barone, oggetto misterioso nella passata stagione che ritrova così un prezioso punto di riferimento. Praticamente Antonelli con un acquisto solo ha messo una pietra fondamentale su un reparto che con al massimo un paio di ritocchi (un esterno e un regista più giovane da scegliere fra gli sconosciuti) può essere considerato competitivo. Soprattutto se Andrea Ardito dovesse decidere di firmare il contratto biennale propostogli da Cairo. In alternativa è pronto Stefano Pinzi, più giovane, meno caro e con tanta voglia di confermare quanto fatto di buono a Udine. Nel frattempo, in attesa di poter intervistare di persona il neo-regista del centrocampo ecco cosa pensa del calcio di oggi e del suo ruolo in un articolo scritto da Gianni Mura e pubblicato su la Repubblica il 25 marzo 2005.Intervista al regista del Palermo. "Mi hanno dato per tramontato e invece per me è pieno giorno. Voglio tirare avanti fino al 2008". Corini il ferrovecchiostoria di una rinascita"Porto il 5 sulla maglia pensando a Falcao. La carriera? Da Mancini al Trap quanti litigi"di GIANNI MURAPALERMO - Un altro giocatore, parlando di come Zico batteva le punizioni, avrebbe detto che toccava col culo per terra. Corini no: "S'abbassava col piede portante e il gluteo quasi toccava il tallone". Corini ha studiato Zico, aveva il suo poster in camera. Corini osserva molto, ascolta molto. Ha del grigio nei capelli corti, le foto d'archivio di quand'era alla Juve lo mostrano con una pettinatura alla James Dean. Allora era considerato un ragazzo prodigio. E poi? "Poi un piantagrane, poi un fallito, poi un ferrovecchio". E adesso il regista che, se fosse più giovane, farebbe tanto comodo anche a Lippi. "Se avevo una possibilità di andare in Nazionale, era in Corea. Ma siccome il ct era Trapattoni, non ci ho mai pensato seriamente. Mi ero beccato con lui da giovane, sapevo perfettamente che nella sua squadra ideale per me non c'era posto. Sacchi mi ha convocato qualche volta, ma senza farmi giocare. In compenso ho buoni ricordi dell'Under di Maldini, qualcosa s'è vinto". Sempre stato regista? "Io mi definisco centromediano metodista. Il 5 l'ho scelto in omaggio a Falcao. Lo vedevo già prima che arrivasse in Italia. Su una tv veneta trasmettevano le partite del campionato brasiliano, si vedeva male, a strisce, e mia madre diceva che mi rovinavo gli occhi. Invece me li riempivo di Falcao". Era e resta il suo punto di riferimento? "Sì, insieme ad Ancelotti. Anzi, umanamente sento più vicino Ancelotti perché ha avuto un sacco di brutti incidenti, come me, e ha sempre saputo superarli, con molto coraggio. E con che classe ha accettato il cattivo trattamento dalla Juve. Mi piace anche come tecnico, perché ama lo spettacolo. Come mi piace Zeman, garantisco che è dura giocare contro il Lecce. Invece non mi piace Mourinho: il Chelsea è il simbolo dell'anticalcio". Sa che parla già come un allenatore? "Forse è il seguito naturale della mia carriera. Ma adesso non ci penso, ancora. C'è una bella stagione da chiudere nel migliore dei modi a Palermo. E poi un biennale da onorare". Lei avrà 35 anni a fine luglio. S'è posto un termine? "Scaduto il nuovo contratto, spero di aver giocato in modo tale da convincere qualche squadra, non so quale, a farmi giocare ancora una stagione. Non ragiono in termini di partite o di gol, come altri calciatori. Voglio fare 20 anni giusti da professionista, cioè chiudere nel 2008". Si può riparlare di quand'era una grande promessa? "Già, lo ero. Fin dai tempi della Fionda, la squadra dell'oratorio, a Bagnolo Mella, tutti a dirmi quant'ero bravo tecnicamente, ma gracilino. Questa storia del fisico mi ha ossessionato. A 11 anni prendevo il treno per Brescia e cercavo di irrobustirmi nuotando". I suoi erano d'accordo? "Sì, abbastanza. Mio padre Carlo era operaio alle ferriere, ha sgobbato tutta la vita e anche lui non aveva un gran fisico. E' morto da pochi anni, mi manca molto. Mia madre Giuditta stava in casa, è lei che ha tenuto bene insieme tutta la famiglia. I primi anni stavamo in una cascina fuori paese, col cesso in cortile. Quando ho smesso di studiare c'era da dare una mano, così mi alzavo tre volte la settimana alle 4,30 e scaricavo casse di verdura al mercato di Brescia. Un lavoraccio. Poi ho fatto l'aiuto-imbianchino e mi sentivo un signore, rispetto a prima. E lavoravo che ero già inserito nel Brescia". Com'è stato il passaggio alla Juve? "Buffo. Io interista ero militare al Napoli. Mi telefona Branchini: ti vogliono l'Inter, il Napoli e le due torinesi. Abbiamo scelto la Juve, era più facile per un giovane trovare posto. Era l'anno della svolta, di Montezemolo, di Maifredi. Abbiamo perso a Genova e non ce ne è più andata dritta una. Poi è arrivato il Trap e ho capito che per me non c'era spazio, così sono andato alla Samp. Ho litigato subito con Vierchowood, poi siamo diventati amici. Non erano rose e fiori neanche con Mancini, ricordo che col Milan eravamo 1-1, c'è un malinteso tra me e Jugovic, Rijkaard prende palla, Gullit segna. In spogliatoio Mancini ha alzato la voce: se a centrocampo qualcuno fosse più sveglio, sarebbe meglio. Io sono stato meno vago: se tu facessi meno colpi di tacco e qualche gol in più sarebbe meglio ancora. E lui: come ti permetti, io sono qui da tanti anni. Io solo da sei mesi, gli ho detto, ma ci tengo a vincere come voi". Certo che non si sceglieva interlocutori ininfluenti. "No, quello che avevo sul gozzo lo dicevo. Oggi posso anche ammettere di avere ecceduto in qualche comportamento, ma con la testa di allora lo rifarei, mi sembrava di subire ingiustizie, o che molto se non tutto mi fosse dovuto. Cosa sbagliata, nel calcio e nella vita". Quando se n'è accorto e ha cambiato registro? "Quando sono maturato, sarebbe facile rispondere così. Invece no: quando ho cominciato a mangiare merda, perché i treni di lusso erano alle spalle. Quando ho detto in casa che andavo alla Juve, per l'emozione mia madre s'è messa a piangere e mio padre le diceva: 'Non fare la stupida, è una bellissima notizia'. E intanto piangeva anche lui. A Torino questa scena mi è tornata in mente mille volte, loro due che per me si erano spaccati la schiena e io che non riuscivo a meritare tanti sacrifici, a dargli più soddisfazioni. Anche per questo ero caricato a molla. Ero giovane e avevo un bel caratterino. Se mi giudico con la testa di oggi, arriverei a dire che ero anche un po' stronzo, ma un altro carattere non potevo averlo e mi resta la soddisfazione di aver sempre detto le cose in faccia a tutti, per potenti che fossero, mai alle spalle". E così sono passati i treni di lusso. "Proprio. Sono andato al Napoli che soffrivo di pubalgia, ho reso pochissimo. Sono tornato al Brescia in un anno disgraziato, tre allenatori cambiati, retrocessione. E i tifosi mi hanno tirato uova marce, pomodori, mi hanno insultato a sangue, mi hanno sfasciato la Mercedes. Ho fatto il mio bel purgatorio". Poi Piacenza e Verona, giusto? "A Piacenza mi hanno giudicato un fallito, ma ho giocato 32 partite. A Verona puntavano su Italiano. Il guaio è che in tre anni mi sono rotto due volte i legamenti del ginocchio destro. Il Verona mi aveva appena ceduto al Chievo, arrivo che sono penultimi in B. Si gioca con la Ternana, sento il dolore e la diagnosi me la faccio già sul campo. E dico a Campedelli: guardi, il contratto si può anche stracciare, non voglio fare l'invalido a carico. E lui m'ha detto di non pensarci nemmeno, di pensare a guarire. Queste sono cose che non si dimenticano. L'ho visto di recente e mi ha salutato con una certa freddezza. Forse è preoccupato per la squadra, ma io i ragazzi li conosco bene, si salveranno anche quest'anno. E quello che abbiamo fatto una volta saliti in A resterà nella storia, lo dico con l'orgoglio di chi ha messo una firma sotto quei campionati". E infine Palermo. "Non è stata solo una questione di soldi, mi tentava l'avventura di ripartire dalla B con un progetto di squadra che pensava in grande. Non mi sono pentito. E' una bella squadra e un bell'ambiente, mi diverto ancora a giocare, ho il mio lato da bambino e il mio lato professionale. Si dice l'età, l'esperienza, la visione di gioco, ma io credo che mi rispettino perché se c'è da fare una corsa e tappare un buco io quella corsa la faccio. In mezzo al campo non si vive di rendita e di ricordi, bisogna anche correre e ragionare. E metterci il piede, quando serve. Agli inizi, mio padre mi diceva: 'Ti sei fatto ammonire anche ieri'. E lo diceva con un tono che mi faceva sentire un delinquente. Sono per il calcio all'inglese, anche se tra i miei primi cinque del mondo non ci sono inglesi". Sentiamo i cinque. "Io ho un debole per Pirlo. Ha forza aerobica, ha due piedi straordinari, recupera palloni, si prende le sue responsabilità. E' un trequartista riciclato benissimo, regge i contrasti. D'altra parte anche i trequartisti hanno cambiato fisico. Prima erano puffi Baggio, Zola, adesso Totti, Kakà, Zidane, forse lo stesso Cassano che se ci sbatti contro sembra fatto di ferro. Gli altri quattro: Totti, Adriano, Shevchenko e Zidane. Se Totti va a giocare all'estero, garantito che il Pallone d'oro è suo". Con quali allenatori s'è trovato meglio? "Gli ultimi. Non lo dico da ruffiano. Stavo da papa con Del Neri e sto da papa con Guidolin. Del Neri ha fatto il massimo, perfezionando un 4-4-2 veramente efficace. Con Guidolin siamo allenati a poter fare tre-quattro schieramenti nella stessa partita. Con tutti e due ho riscontrato molta qualità nel lavoro. Le dico una cosa, che gli allenatori li conosci bene quando sei alle loro dipendenze, ma li apprezzi da avversario. Quando dovevamo giocare con una squadra di Guidolin, io avversario pensavo: che palle, domenica si suda il doppio". Cosa non le piace di questo calcio? "Vorrei programmi tv di calcio vero, non di chiacchiere. Son ridotto a vedere solo 90' minuto e Lo sciagurato Egidio. Ma, a livelli più alti, vorrei una Nazionale fortissima e rispettata, vincente, una maglia azzurra che significhi onore, orgoglio e piacere. Vedo troppi che si presentano alla convocazione con degnazione. Ma se ne stessero a casa. Io non so se è tutto vero sullo sputtanamento del calcio italiano, ma fosse vera anche la metà delle cose che si dicono e si leggono, saremmo a terra. Per me, solo la Nazionale può fare da traino positivo. E mi chiedo perché non ci riesca. L'ossatura l'abbiamo: Buffon, Nesta, Pirlo, Totti, Gilardino, che già adesso per me è l'attaccante italiano più forte". Qual è la morale della sua carriera? "Che non si deve avere troppa fretta. Che conviene saper aspettare. Che i sogni possono rinascere. Che mi hanno dato per tramontato e sono in pieno giorno". (da Repubblica del 25 marzo 2005)