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Riprendono i "gargarismi", e riprendono a stagione iniziata per manifesta incapacità del sottoscritto rispetto al farsi un'idea chiara su questa squadra. Almeno fino a domenica scorsa, quando, ahinoi, è suonato qualcosa di più di un semplice campanello d'allarme che ha schiarito qualche idea.
Riassunto delle puntate precedenti: il Toro disputa una gran bella stagione, con una botta di fortuna si ritrova in Europa ma, come amaramente previsto, perde i suoi pezzi da novanta Immobile (capitalizzato maluccio) e Cerci (stendiamo anche noi la nostra parte di velo pietoso su come si è consumato l'addio) e fa una robusta campagna acquisti piena di ex (sappiamo bene ex rispetto a chi) e di... "ez" (Martinez, Sanchez Mino, Perez, e aggiungiamoci per assonanza pure Bruno Peres).
Se è vero che la difesa è rimasta sostanzialmente -e giustamente- uguale a quella della passata stagione, i tanti volti nuovi sono stati arruolati per ridisegnare il centrocampo, troppe volte anello debole nello scorso campionato, e soprattutto per non far dimenticare quei due là davanti. Mica pizza e fichi. Il bilancio alla luce delle sei partite ufficiali (quattro in Europa League e due in campionato) al momento pone più dubbi che certezze. Abbiamo passeggiato (e non poteva essere altrimenti) col Bromma, faticato più del necessario con l'Rnk Split e, dopo un buon avvio contro l'Inter, è arrivata la caduta con la Samp, una caduta che ci ha fatto ripiombare nella tristezza del Toro di due anni fa, quello che non sapeva nè attaccare, nè tirare in porta, nè tantomeno segnare.
E' chiaro che, pur essendo partiti prima nella preparazione rispetto agli altri, serve ancora tempo per assemblare la vecchia e la nuova guardia, ma di fatto non la mettiamo dentro su azione da quattro gare, a centrocampo si ragiona ancora poco e, cosa ancor più sconfortante, con i doriani si è vista una squadra svogliata, che non ha tirato fuori un briciolo di carattere al di là dei propri limiti tecnici. Tutti male, da Padelli a Larrondo (per il quale anche un misero 5 in pagella al momento sembra un risultato inarrivabile...).
Ecco, l'ennesimo miracolo a cui è chiamato Ventura dovrà partire proprio da lì, dalla testa dei giocatori. Sulla carta, a meno di scoprire dei fuoriclasse tra i nuovi arrivati meno conosciuti, sembriamo inferiori rispetto all'anno scorso. L'usato che Cairo ha acquistato non è del tutto sicuro e inevitabilmente al festival degli sconosciuti (alcuni un po' carucci, in verità) qualcuno di sicuro steccherà. E, come se non bastasse, oltre a capire il valore di molti giocatori, c'è da lavorare sulla forma fisica di altri.
L'impressione è che nel complesso, ora più che mai, questo Toro abbia bisogno di sentirsi "squadra". E questa squadra ancora non c'è. La fiducia della piazza -a parte le fisiologiche eccezioni- non manca (abbiamo iniziato campionati con rose improvvisate e raffazzonate, almeno questa una fisionomia ce l'ha), ma serve una bella scossa già col Bruges, e poi preparare con la giusta cattiveria la partita col Verona, avversario storicamente ostico. Anche se la stagione è appena cominciata, ci troviamo di fronte a due partite fondamentali.
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