Giovedì 10 ottobre si celebra la giornata mondiale della salute mentale e il Torino ha voluto proporre un'iniziativa per mostrarsi vicino a questa causa. La società granata ha infatti pubblicato sul proprio canale YouTube (e anche alcuni spezzoni sui propri profili social) un video nel quale chiede alcune considerazioni a cinque suoi calciatori. Si tratta di nuovi innesti che sono arrivati al Toro nel corso dell'ultima estate ovvero Ché Adams, Saul Coco, Marcus Pedersen, Guillermo Maripan e Borna Sosa. Queste le opinioni principali dei giocatori granata interpellati in merito alla salute mentale.
Le voci
Il Toro e la giornata sulla salute mentale: “Dietro al calciatore c’è una persona”
Adams: "Credo che oggi se ne parli molto più che in passato, è molto importante cercare aiuto quando se ne ha bisogno e parlare con le persone che uno ha intorno. Portare più attenzione può essere positivo per tutti. Credo che per gestire al meglio la pressione sia importante comunicare con i propri cari e con il partner, a me fa bene passare del tempo con mia figlia perché mi fa passare lo stress e le preoccupazioni, per me questo aspetto è molto positivo. Per me felicità e calcio vanno insieme, quando sono sul campo cerco di scacciare i cattivi pensieri e questo mi aiuta a superare ogni situazione negativa della mia vita".
Coco: "Fortunatamente nell'ultimo anno se ne parla con più frequenza, è qualcosa su cui dobbiamo lavorare tutti perché è importante e anche dietro a noi giocatori c'è una persona. Non tutto è sempre idilliaco e per questo è sempre più importante parlare apertamente di salute mentale. Ho alcuni miei segreti e da un po' di tempo ho iniziato a lavorare con un mental coach personale che mi ha dato dei consigli per gestire la pressione nei momenti in cui manca confidenza. Seguo sempre i suoi consigli. I social sono un'arma a doppio taglio, quando le cose vanno bene è tutto perfetto ma poi quando va peggio è tutto il contrario, bisogna cercare di essere più lineari possibile. Non ho mai avuto un pensiero negativo grosso come lasciare il calcio, nei momenti difficili mi rifugiavo dalla mia famiglia e dalle persone care che credono in me".
Pedersen: "Credo che sia un tema molto importante anche nel calcio e se ne parla sempre di più, a tanti atleti non piace essere sinceri ma credo sia dovuto al grande sviluppo dei social media e al continuo leggere di tanti commenti ed opinioni su internet. C'è molta pressione e negatività spesso su molte persone rispetto al mondo esterno. Social? Non mi interessa leggere ogni giorno cosa pensano le persone sulle mie performance sia che mi dicono che sto giocando bene oppure male. Tutti hanno le loro opinioni e sapere tutto ciò che viene detto su di te fa solo del male. Quando ero più giovane leggevo tutti i commenti ma con l'esperienza ho capito che sono solo io ad andare in campo per la mia performance".
Maripan: "Pian piano si sta rompendo questo stigma riguardo l'argomento, non manca molto per far capire alla gente che i calciatori non sono macchine ma persone. È molto importante parlare sempre di più di questo. Per me ormai è diventato abituale gestire la pressione e lavoro con un mental coach che mi aiuta a mantenere la fiducia in me stesso. Non bisogna prestare molta attenzione ai commenti sui social media perché conta di più il parere del gruppo di persone che ti sono vicine come gli amici e la famiglia. Con lo psicologo ci si può confrontare su cosa non ha funzionato anche durante le partite. Se mente e corpo sono connessi si lavora in una buona maniera e questo aiuta nel calcio, questo vale in generale nella vita per vivere bene ogni giorno".
Sosa: "È una questione molto personale, alcuni calciatori sentono molto di più lo stress prima delle partite mentre altri meno. Penso che sia molto importante capire come funziona il cervello per ognuno, alcune partite sono molto stressanti e non puoi essere rilassato e dare il meglio. Il supporto in una squadra è una delle cose più importanti perché nessuno può giocare bene ogni volta e capita spesso che qualcuno non stia facendo bene e in questi casi si possono fare solo due cose. O gli si urla addosso creando un minus per il gruppo oppure si prova a darsi supporto e ad aiutare il più possibile, ovviamente per me bisogna sempre scegliere la seconda strada che è molto importante".
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