Il Toro ha perso in una settimana tre pezzi dal comprovato DNA granata che lavoravano o avevano lavorato nelle giovanili: Benedetti, Asta e Di Sarno (quest'ultimo poi promosso da tanti anni in prima squadra). Si può fare un discorso qualunquista e banalizzare la questione sventolando una presunta degranatizzazione della società oppure si può fare un'analisi più matura e seria e, senza allarmismi ed isterismi, constatare che, di fatto, è in effetti così.
Il granata della porta accanto
La degranatizzazione infelice
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Chi lavora nel calcio è un professionista, cioè prende dei soldi per fare bene, anzi molto bene, quello che tante persone fanno (meno bene) per passione, praticamente gratis. Fare il responsabile della scuola calcio, l'allenatore di una juniores o il preparatore dei portieri a livello dilettantistico, è spesso poco più di un hobby: in una professionistica invece è un mestiere con poche garanzie e spesso tanti cambiamenti. Ci sta quindi che in una logica di club professionistico le figure vadano e vengano, e il Toro in questo non può essere un'eccezione.
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Buonagrazia che sostituirà Silvano Benedetti, Cataldi che prenderà il posto di Di Sarno e chi arriverà a sedersi sulla panchina lasciata da Asta, sono sicuramente professionisti altrettanto bravi che faranno un grande lavoro, ma che hanno tutti una caratteristica in comune: non hanno un passato granata. Perché alla fine la differenza è tutta lì: se sei un club "diverso" dagli altri, quella diversità va coltivata e in qualche modo "tramandata" da chi ha già vissuto questo ambiente da giocatore o da allenatore.
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Ci sono cose nella vita e soprattutto nel calcio che non si possono quantificare, pesare, economicamente valorizzare perché sono intangibili eppure spesso importantissime e l' "essere granata" è sicuramente una di queste. Possiamo noi con certezza dire che Silvano Benedetti in 23 anni di Scuola Calcio ha scovato più talenti semplicemente perché "era del Toro"? Ovviamente no, e probabilmente numericamente non troveremo nessun dato che conferma (o smentisce) questa ipotesi. Possiamo però in tutta certezza dire che il garbo e la competenza della persona Silvano, unite alla sua profonda conoscenza del mondo granata per averlo vissuto da "figlio del Fila" prima e da calciatore poi, hanno certamente lasciato un'impronta indelebile su centinaia di ragazzi che sono passati dalla scuola calcio del Torino. Alcuni di loro, anche grazie a Benedetti, sono arrivati a fare i professionisti e pure con la maglia del Toro, moltissimi altri che invece non hanno finito il ciclo delle giovanili, sono rimasti tifosi di questa maglia o comunque profondamente legati all'ambiente Toro anche grazie a Silvano. E la stessa cosa, con impatto diverso, possiamo dirla sicuramente anche di Asta e Di Sarno.
C'è un concetto che amo ripetere, un paradosso che rende bene l'idea di cosa voglia il tifoso del Toro: se in questo calcio business non possiamo più vincere, almeno cerchiamo di non vincere da Toro! È un calambour per dire che al tifoso granata interessa spesso più il come si fa una cosa rispetto al mero fine per la quale questa cosa sì fa. L'identità per il torinista è tutto e se la società agisce tutelando nelle sue scelte, legittime, per carità, anche questo aspetto, il tifoso sarà più benevolo nel valutare l'operato alla luce dei risultati che ha prodotto. Nel senso che è ammirevole circondarsi da professionisti con un buon pedigree, ma alla fine, a parità di risultati e di pedigree, è meglio avere in squadra o nello staff "uno di noi"
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Ai tempi di Cimminelli, gobbo comprovato che non aveva nessun rispetto per la storia del Torino e che ritengo essere stato uno dei peggiori, se non il peggiore, presidente della storia del Toro, la società pullulava di figure dal passato ricco di quarti di nobiltà granata (da Zaccarelli a Cravero, passando per Ezio Rossi) e la contestazione a Cimminelli era bilanciata dall'affetto per le figure dell'area sportiva che erano "dalla parte dei tifosi".
Oggi con Cairo si assiste ad una lenta emorragia di DNA granata a tutti i livelli. Il presidente non ha mai amato circondarsi di ex benvoluti dai tifosi (che errore non aver coinvolto, seriamente, in società una figura come Paolino Pulici che in questi 18 anni avrebbe potuto dare tantissimo al mondo granata!) di fatto lavorando quasi sempre con professionisti esterni che solo raramente hanno saputo calarsi davvero nella realtà granata (penso a Di Biasi o Mihajlovic). Con Juric è successo uno di quei colpi di fulmine in cui le caratteristiche del mister, adattissime alla peculiarità della piazza, si sono subito fuse con l'ambiente da cui è nato un rapporto per il quale sembra che Juric sia stato al Toro da tutta la vita.
I tempi sono cambiati, è vero, ma i valori sono sempre gli stessi e saranno sempre gli stessi anche in futuro: l'appartenenza, il modo di intendere il calcio, lo spirito con cui si affrontano le competizioni, sono obbligati ad adattarsi nella forma ai cambiamenti dettati dai nostri tempi, ma nella sostanza non possono assolutamente essere messi in discussione o bypassati. Sono parte integrante di quel "noi" che è il Toro e così dovrebbero essere trasmessi ai piccolini di 6 anni come ai professionisti della Prima Squadra e a chiunque indossa la maglia granata in qualunque annata o categoria.
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Ce la faranno i nuovi arrivati a fare anche questo oltre a portare in dote la propria indiscutibile professionalità e competenza? Un quesito delicato che in apparenza sembra dare ragione a chi lamenta, e non ne ha tutti i torti, una degranatizzazione della società. Dovrebbe essere il presidente, risultati alla mano, a zittire tutti sulla bontà di questa pericolosa strategia. Ma siccome ad oggi i risultati sono molto scarsi, torno alla mia massima iniziale: per non vincere, tanto vale farlo "da Toro"...
Da tempo opinionista di Toro News, do voce al tifoso della porta accanto che c’è in ognuno di noi. Laureato in Economia, scrivere è sempre stata la mia passione anche se non è mai diventato il mio lavoro. Tifoso del Toro fino al midollo, ottimista ad oltranza, nella vita meglio un tackle di un colpo di tacco. Motto: non è finita finché non è finita.
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