Quanto si porta dietro della gavetta che ha fatto? Proprio su Toro News Zoratto disse che si capiva da subito che il ruolo di vice le stava stretto."Daniele è stato una persona importante all'inizio del mio processo di cambiamento da giocatore ad allenatore. Mi diceva sempre di contare fino a dieci prima di parlare. E' un ragazzo intelligente, una persona eccezionale. Mi ha fatto capire che è importante avere pazienza, perchè l'ambizione prima o poi mi avrebbe fatto arrivare in alto. Sono tanto orgoglioso del percorso che ho fatto. Sono arrivato qui a 52 anni e penso che la possibilità che ho oggi me la sono meritata. Nel mio percorso ho fatto di tutto, ho visto, stando in secondo piano, come è composta una società. E l'esperienza avuta all'estero mi ha regalato un ultimo step, per farmi capire cosa è un manager. Io penso dunque che ad oggi devo gestire, insieme al direttore, l'azienda del presidente, portando risultati. Nella mia area devo unire e condividere per arrivare a un obiettivo. La gavetta, dunque, mi ha aiutato tanto, e quando scelgo un collaboratore, so benissimo cosa serve e posso insegnargli quale errore non fare. Il mio sogno? Finire il percorso in Nazionale. Avendo fatto otto anni nelle nazionali ho conosciuto i migliori giovani in Italia; il mio desiderio sarebbe quello di chiudere il cerchio in Nazionale. Nel mio percorso, ho conosciuto allenatori e direttori importanti che mi hanno fatto capire l'importanza della maniacalità".
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Quanto è importante avere la Primavera a sei chilometri da qui?"Se ne parla poco, ma avere la Primavera a cinque minuti è bellissimo. Un'idea fantastica della società- Uno, perchè ti dà l'opportunità di lavorare sempre con venti giocatori nel caso in cui succeda qualcosa. E poi, perchè ti da modo di conoscere fin da subito i giovani a disposizione. Dopo la partita contro la Virtus Verona ho fatto loro i complimenti. Voglio fare loro capire che la timidezza non fa parte del calcio, perchè devono avere un sogno. Dunque, quando io chiamo dei giovani, anche solo per cinque minuti, devono vivere il desiderio e il sogno di dire al padre che sono andati in prima squadra. Poi le strade sono infinite, diventare un giocatore è difficile. Ma l'attenzione che do al giovane è molto importante. Fare la spola tra Primavera e prima squadra non è facile, ma avere i giovani vicini è eccezionale".
Coco ci ha detto che appena arrivato, avete parlato della storia del Toro..."Quando conosco un giocatore, per prima cosa gli chiedo se conosce la storia del Torino, perchè ha valori unici che non si possono non conoscere. Così, quando vanno in campo, sanno che questi valori li devono rappresentare. Sono una persona fatta così, quando parlo con un giocatore è questo il primo approccio che ho".
Questo può essere anche un campionato tra allenatori, visto che ci sono state tante novità... "La competizione è sempre stimolante".
Sulla scelta dei collaboratori?"Sono una persona curiosa, che non vuole un collaboratore, vuole qualcosa che mi possa aiutare a pensare, qualcosa che mi dia energia per capire. Sono collaboratori di alto livello, e sono stati collaboratori che hanno avuto esperienze molto importanti. Non mi voglio fermare, ma voglio andare avanti, e la curiosità di cercare collaboratori che abbiano certe caratteristiche ce l'ho. Questo è un aspetto importante. Inoltre, io penso che oggi tutte le società debbano avere una cultura internazionale. Il mio staff, dunque, deve essere preparato a sapere più lingue. Coco, finché non impara l'italiano, parla in spagnolo e avere dei collaboratori che sanno parlare lo spagnolo fa la differenza. In un mondo globale, questo è molto importante. L'ho vissuto anche a Venezia, dove in sei mesi ho parlato più inglese che italiano. Dopodiché, sono severo: sono in Italia e bisogna parlare italiano. Vale per giocatori e collaboratori. A Pau Quesada ho detto che la sera deve prendere un'insegnante e studiare italiano. Perchè bisogna sapere stare nella cultura del paese dove si è, come ho appreso lavorando in Inghilterra".
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