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"Una storia di calcio, ma - davvero - non come le altre: il giornalista e storico Michele Ruggiero e la storica Alessandra Demichelis hanno voluto raccontare in un libro la vita di un uomo, prima che di un calciatore, che ha attraversato le epoche, rimanendo sempre “il secondo” di qualcun altro. “Una vita da secondo. Storia di Mirko Ferretti, l’allenatore nell'ombra” edito da ArabaFenice, è il racconto storico-psicologico della vita di Amilcare “Mirko” Ferretti, ex giocatore (anche granata) ed allenatore in seconda per una vita. Una vita che attraversa 70 anni di storia e politica italiana, intrecciandosi con i fatti, le ideologie e i protagonisti di quasi un secolo. Abbiamo contattato Michele Ruggiero per parlare di questo libro, e per sentire la sua sul momento del Toro.
"Salve Michele. Insieme ad Alessandra Demichelis ha deciso di raccontare in un libro la vita di Mirko Ferretti. Perché proprio la sua storia?
"Per inserire nel giusto contesto “questa storia”, in primo luogo c’è di base un rapporto di amicizia di lunga data, tra me e lui, ma non solo. Ho avuto il piacere di conoscerlo prima "per interposta persona”, grazie a Nello Pacifico, storico giornalista dell’Unità di Torino che ci ha lasciato solo qualche mese fa. Lui era la "memoria storica" di questa storia. Lui ha conosciuto Ferretti e ha intessuto questo rapporto “ideologico”...
"Ideologico?
"Si, il protagonista del libro, Mirko Ferretti è uno dei rari casi di giocatori dell’epoca (anni ’50 e ’60) “di sinistra", e questo viene raccontato nel libro, anche attraverso le vicende del padre, Renato, giocatore anch’egli.
"Figlio d’arte, insomma.
"Renato Ferreti giocava nel Messina ed è ancora oggi il giocatore ad aver segnato più gol con la maglia giallorossa. La Sicilia è un tema ricorrente nel libro: il papà viene chiamato per allenare una squadra di dilettanti nel messinese quando Mirko ha 12 anni, e il figlio lo segue. E proprio li inizia a mettersi in luce, quando il padre arriva al Canicattì.
"Quindi il libro ha come genesi un rapporto di amicizia…
"Si, di lui ne avevo sentito parlare da Pacifico, di cui sono stato collega, e in qualche modo “erede" nella parte calcistica dell’Unità. Questo mi ha portato a seguire il Toro di Radice (soprattutto nella seconda fase), quando Mirko ormai non c’era già più in granata.
"Tornando indietro, m’incuriosisce i riferimento all’orientamento politico di Ferretti. Era davvero così strano all’epoca essere un calciatore “di sinistra”?
"Negli anni '50 e '60 Torino (ma non solo) era divisa in comunisti e non-comunisti. A Torino c’era una squadra come la Juve “amministrata” dalla Fiat, ed era difficile che lì ci fosse un giocatore “di sinistra”, perlomeno non dichiaratamente, magari in maniera nascosta. Ferretti s'inseriva in un calcio che cominciava a trasformarsi - si pensi all’estro e alla personalità di Meroni, di quel calcio che darà vita al sindacato dei calciatori. Era un uomo, lui, che non ha mai nascosto le sue idee.
"Un racconto di vita, di sport, ma mi pare di capire con una forte attenzione al contesto politico-sociale. E non solo…
"Noi autori abbiamo dato questa cornice, ma ciò che mi premeva mettere in luce di questa storia è il lato psicologico. Ho cercato di sistematizzare, psicologicamente, l’aspetto di essere “secondo”, nel quale rientrano tutti i discorsi sull’inclinazione personale, sulla famiglia, sulla politica: tutti gli aspetti che lo hanno condizionato a rimanere, in qualche modo, un allenatore in seconda. Questo suo modo d’intendere la vita, di non viversi sino in fondo le sfide, anche materiali, il non volere (e potere) aspettare di arrivare ad un’occasione migliore. La sua condizione lo portava a scegliere l’uovo senza aspettare la gallina. Abbiamo cercato di raccontare il ruolo del “secondo”, anche in maniera antesignana.
"Perché, secondo lei, si dovrebbe leggere il suo libro?
"Credo che sia un libro attraverso il quale le persone anziane possono ricordare e i giovani possono conoscere. E’ un libro che va dagli anni '30 agli anni 2000: un viaggio in 70 anni d’Italia, da Torino, alla Sicilia.
"Siccome, inevitabilmente, c’è molto granata in questo libro, allacciamoci al presente. Che cosa può dire sul Toro attuale?
"Sotto il profilo dei valori tecnici in campo questo Toro è inferiore rispetto agli scorsi anni, e il perché sta molto nell’addio di un giocatore secondo me fondamentale in tanti ambiti: Kamil Glik. Un uomo squadra, un fattore di trascinamento importante. Le squadre si costruiscono a blocchi, ma devi trovare l’elmento di cerniera: lui lui lo era tra difesa e centrocampo, e in qualche modo era la bandiera. E questo questo Toro non ce l’ha più, una bandiera. Ha il bomber certo, ma non un Glik.
"E il valore aggiunto, invece, rispetto agli scorsi anni?
"Il valore aggiunto invece è Mihajlovic: ci voleva un serbo in questa squadra. Per temperamento. Il ciclo con Ventura era ormai terminato, ma l’ex tecnico granata è stato fondamentale per la maturazione di questo Toro. Ventura ha fatto da chiave di volta per Cairo, lo ha fatto crescere come Presidente.
"Tornando sul libro e concludendo, lei in quest'opera ha unito la sua professione di giornalista, anche calcistico, a quella di storico
"Per me parlare di calcio e storia è incrociare due grosse branche della mia carriera: ho scritto tanti libri di storia e calcio, non è la prima volta che mi muovo tra questi due mondi.
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