Delusione, rabbia, sconforto o persino apatia: il ventaglio delle emozioni che hanno contraddistinto l’epilogo del (non) mercato di gennaio è stato parecchio ampio, di sicuro il suo comune denominatore è stato il giudizio non positivo che se ne evince. Ancora una volta le attese della tifoseria sono state frustrate. Bisognerebbe sempre diffidare degli umori della piazza quando si prendono le decisioni, verissimo. Ma il calcio è tifo, cioè è una questione di pancia più che di testa, ed è difficile pretendere equilibrio e algidità dalla piazza quanto è assurdo pensare che chi gestisce una società di calcio possa solo ed unicamente ragionare senza valutare l’aspetto emotivo dell’intero settore. Sono pochi gli ambiti del business dove i “clienti” sono consumatori quasi completamente privi di ogni logica e basano i loro “acquisti” esclusivamente su impulsi emotivi ed irrazionali. Chi sta dall’altra parte dovrebbe sempre tenerlo ben a mente…
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Toro Castr(o)ato
E’ il caso, ad esempio, di Urbano Cairo, il quale dopo 12 anni di presidenza per giustificare il proprio operato ancora si arrocca dietro spiegazioni che non possono fare breccia, non dico nel cuore, ma neppure nella testa del tifoso medio che, in quanto granata, è oltremodo più complicato di quello di qualsiasi altra squadra. Le conferenze stampa di Cairo ormai sembrano interventi ad un convegno di commercialisti. Grande focus sull’oculatissima gestione delle risorse del club, ma nessun accenno a ciò che il tifoso vorrebbe udire ogni tanto: i risultati sportivi. Cimminelli, il fallimento, Cittadella, sono tutti concetti che abbiamo ben chiari, che ci hanno segnato e che non scorderemo e che però non possono essere la tara continua dell'agire di questa società. Nessuno pretende scudetti o Champions League, ma la concreta possibilità di lottare per posizioni europee dovrebbe essere un obbiettivo naturale per chi ha in mano il Toro: che poi si raggiunga o meno, che ci siano annate buone e meno buone quello fa parte della bizzarra peculiarità del calcio in cui programmazione non fa sempre rima con risultato. Ma è necessario, con la famosa “diligenza del buon padre di famiglia”, fare in modo che nulla resti intentato nel perseguire l'obbiettivo, altrimenti è naturale esporsi alle critiche.
Facciamo un esempio: Castro serviva per colmare le carenze del centrocampo? Se la risposta è sì, occorreva fare di tutto per prenderlo in tempi rapidi (inizio di gennaio) e ad ogni costo, se la risposta è no (e io nello specifico sono d'accordo che l'argentino non avrebbe cambiato la nostra stagione) allora non aveva senso seguirlo fino al 31 gennaio per poi dire “era troppo caro in relazione a valore ed età”. Non è il mancato arrivo di Castro il problema del mercato del Torino: è l'idea che sarebbe arrivato se fosse costato meno ad inquietare… È l'idea che non può esistere ambizione per il Toro nemmeno quando le risorse ci sono ad essere profondamente ingiusta. Quello che serviva al Toro e ai suoi tifosi era un segnale di ambizione, una presa di posizione verso la realtà che indicasse a tutti qual è l'obbiettivo per il quale si sta lavorando e per il quale vengono investite ed usate le risorse del club. Amaramente constatiamo che, ancora una volta, il Toro è stato castrato dei suoi sogni. Vinceremo l'ennesimo scudetto del bilancio, ma perderemo l'ennesimo pezzettino di entusiasmo: un patrimonio che nessuna plusvalenza potrà mai più ricomprare..
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