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Toro, Napoli e Fiorentina, storie simili in contesti diversi: dal fallimento all’insofferenza

Silvio Luciani

Insofferenza, in alcuni casi contestazioni, colpiscono Cairo, Della Valle e De Laurentiis. Il fallimento, la rinascita e ora qualche critica: ecco i trait d'union

Libri contabili in tribunale, fideiussioni non concesse, iscrizioni saltate: il sistema calcio del Bel Paese è tristemente abituato ad eventi di questo genere che causano perdite incolmabili per i tifosi e per le comunità che vivono di calcio. Eppure le cose non cambiano e anche in questa rovente estate, con diritti tv che crescono e mirabolanti acquisti di mercato, ci sono piazze del calibro di Bari e Cesena che scompaiono dalla geografia calcistica italiana. Il fallimento di queste piazze fa tornare alla mente crac clamorosi come quello del Toro nel 2005, quello della Fiorentina nel 2001 e quello del Napoli nel 2004.

Storie simili in contesti diversi: tre squadre, tre città storiche con tradizioni uniche e importanti, dal blasone indiscutibile, che hanno vissuto e stanno vivendo umori molto simili più di un decennio dopo l’incubo. Se in comune c'è stata l’esaltazione per il nuovo progetto, poi alcuni buoni risultati sportivi, ora c'è l’insoddisfazione di una parte di tifoseria nel presente. Tutto questo nonostante dimensioni sportive che - tutto sommato - sono cresciute nel tempo e probabilmente rispecchiano le possibilità delle tre piazze.

Una fetta del mondo granata sta dimostrando insofferenza per il modus operandi societario e l'emblema è dato dalla petizione per cercare un altro presidente per sostituire Urbano Cairo, reo - secondo questa parte di tifosi - di non avere abbastanza a cuore le sorti del Torino e quindi di gestirlo in maniera troppo asettica. A Napoli sono comparsi striscioni eloquenti nei confronti di Aurelio De Laurentiis e da qualche anno si è incrinato anche il rapporto della famiglia Della Valle con Firenze.

Nonostante i risultati differenti tra loro, condizionati da bacini economici e sportivi diversi, il trait d'union delle critiche è il non investire abbastanza per fare il salto di qualità ed ambire ad una dimensione maggiore di quella odierna. Vale per il Toro, che per i tifosi potrebbe essere stabilmente nelle Coppe Europee, per il Napoli che nonostante un gap molto grande con la Juve è quasi arrivato a vincere lo Scudetto e per la Fiorentina, stabile a metà classifica dopo anni in cui aveva sfiorato il grande calcio.

Come non comprendere i tifosi, che ovviamente sperano che la propria squadra raggiunga successi sempre maggiori e ricordano i fasti di un tempo, quelli di un calcio più equilibrato e più sentimentale, forse più genuino. Dall’altro lato ci sono imprenditori a cui va dato atto di aver raccolto delle società in macerie e di essersi impegnati per creare una struttura solida e duratura a partire da zero, che è progressivamente cresciuta e che allo stato attuale è indubbiamente migliore di quella pre-fallimento.

http://www.toronews.net/columnist/buonanotte-granata/cerchiamo-cose-da-toro/

Il mondo del calcio è cambiato e di fronte a pochi esempi di sceicchi dalla spesa facile, il modello del “pareggio di bilancio” è il più gettonato: se contemporaneamente fatturato e valore della rosa crescono insieme ai risultati sportivi, i segnali sono certamente positivi. Le critiche sono legittime e fanno parte del gioco, ma in tutti questi contesti la soluzione migliore sarebbe quella di deporre le armi e contemperare le ambizioni delle tifoserie alle reali possibilità delle società citate, in termini di introiti, bacino di utenza e capacità finanziaria.